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Il giovane re Ajātasatu sente il bisogno di seguire l'insegnamento di un maestro. Ognuno dei suoi ministri gli vanta i meriti del proprio, ma nessuna di queste descrizioni lo convince.
Quando il dottor Jīvaka gli parla del suo maestro, il re decide di farvisi condurre...
Dopo avere ucciso suo padre, il re Ajātasatu venne sopraffatto dalla tristezza, roso dai rimorsi. Da che Devadatta era piombato nell'inferno, egli aveva un terribile timore di subire la medesima sorte. Questo pensiero lo terrorizzò a tal punto, che non riusciva più a prendere sonno, né a trovare il suo appetito. Dubitava costantemente su quanto gli riservava l'avvenire. In una notte di luna piena di novembre, poiché non riusciva a dormire, uscì dalla sua camera e si recò in una zona del suo palazzo, a cielo scoperto. Per non lasciarlo solo, i suoi ministri gli facevano compagnia. Nella sua melanconia, il re disse:
«Questa notte è magnifica; si vedono tutte le stelle.»
Dopo un lungo silenzio, chiese ai suoi ministri:
«A quale maestro sarebbe bene io mi affidi?»
Ognuno dei ministri che gli dette una risposta; aveva fede in un maestro religioso differente, tra quelli conosciuti per la maggiore, benché tutti accecato da punti di vista erronei. Il primo di essi, che credeva nell'asceta Pūraṇakassapa, ne vantò lungamente le qualità, precisando che conosceva tanto bene sia il passato, che il presente, che il futuro. Quando ingiunse al giovane re di adottare la dottrina del suo maestro, quello restò silenzioso. In seguito, un altro ministro gli espose le qualità del proprio maestro, il non meno celebre Makkhaligosāla; poi, venne il turno degli altri ministri, di parlare dei loro rispettivi insegnanti: gli asceti Kesakambala, Nāṭaputta, Pakudhakaccāyana e Sañcaya.
Nota: L'asceta Nāṭaputta, più conosciuto ai nostri giorni sotto il nome di Mahāvīra, è il fondatore del jainismo, religione che raccoglie ancora numerosi adepti, benché non si sia mai estesa al di fuori dell'India del Nord.
Come il primo, anche gli altri ministri vantarono il loro maestro e suggerirono al re di adottarlo. Tuttavia, questi rimase, ogni volta, in silenzio. Poiché il dottor Jīvaka, che era anche uno dei ministri del re, non stava dicendo nulla, il monarca gli chiese:
«Jīvaka! Perché state tacendo? Ognuno ha già descritto abbondantemente il loro precettore. Non ne avete uno, a cui date fiducia?»
Jīvaka si alzò, e, rispettosamente, si curvò per tre volte di seguito, con le mani giunte, nella direzione in cui si trovava Buddha. Quindi, si rivolse al re:
«Non crediate che io ne sia privo! Certo che ho un maestro!»
— Chi è?
— Il mio maestro è un essere del tutto stabile in sīla, samādhi e pañña (la virtù, la concentrazione e la saggezza). E' un buddha, che insegna il Dhamma alla perfezione. E' un arahant, degno di ricevere gli omaggi di ogni brahmā, di ogni deva e di ogni umano, assieme al resto degli esseri. Sire, seguite l'insegnamento di questo nobile Buddha!
— Jīvaka! Conducetemi dal vostro maestro Buddha! Andiamoci subito!
Poiché era tardi, il dottor Jīvaka preparò presto tutto quanto ci voleva per andare da Buddha. Partirono appena la guardia del re fu pronta. Questa guardia era formata da cinquecento donne superbe, ognuna sul suo cavallo.
Nota: Il re assumeva solo femmine, per la sua guardia personale. Dato che a quell'epoca solamente gli uomini erano accettati sul trono, i re si garantiva così che nessuna delle sue guardie del corpo femminile potesse ucciderlo per prenderne il posto.
Mentre si dirigevano verso il monastero dove si trovava Buddha, il dottor Jīvaka assicurò il re che con lui vi erano milleduecentocinquanta monaci. Tuttavia, con l'avvicinarsi al monastero dei giardini di mango, regnava un silenzio totale. Sospettoso, il re divenne diffidente, cominciando a credere che il dottore lo stesse conducendo in un tranello, per ucciderlo. Appena scorse l'inquietudine del re, il dottor Jīvaka lo rassicurò:
«Sire! Non abbiate paura! Buddha è proprio qui, con il saṃgha; ma, sono tutti molto silenziosi.»
Giungendo al monastero, il re Ajātasatu vide effettivamente il Beato, mentre dominava una grande sala, dove si trovavano riuniti milleduecentocinquanta monaci, seduti in una grande pace. La loro apparenza serena conferiva al luogo un'atmosfera di grande calma. Poiché aveva ucciso suo padre — il re Bimbisāra — che era uno dei principali dāyaka del Beato, egli abbassò il capo, quando si trovò dinanzi a lui, senza osare proferire una parola. Allora, Buddha disse:
«Ajātasatu! Vedendo tutti questi monaci silenziosi, a cosa pensate?
— Oh, nobile Buddha! Penso a mio figlio. Sarei felice che potesse starsene tranquillo come questi nobili monaci!»
Mentre parlava, il re immaginò il dialogo che avrebbe avuto inevitabilmente con il proprio figlio, un giorno o l'altro:
«Oh, padre! Dov' è mio nonno?
— Vostro nonno è morto, figlio.
— Come è morto?
— L'ho ucciso.
— Perché l'avete ucciso?
— Per prenderne il posto, sul trono.»
Ne concluse che il proprio figlio, probabilmente, avrebbe avuto la medesima idea:
«Vorrà, dunque, uccidermi, per prendere , allo stesso modo, il mio posto sul trono. Se rimanesse nella pace, come un monaco, sfuggirei a questa sorte vile.»
Quando emerse dai suoi pensieri. Chiese a Buddha:
«Oh, nobile Buddha! Quali sono i vantaggi della vita monacale?
— A chi avete posto, di già, questa domanda?
— Agli asceti Pūraṇakassapa, Makkhaligosāla, Kesakambala, Nāṭaputta, Pakudhakaccāyana e Sañcaya. E non hanno saputo rispondermi in maniera soddisfacente.
— Voglio dirvi, Ajātasatu, quali sono i vantaggi della vita da monaco. Quando lo si è, si possiedono molti privilegi per l'esistenza attuale. Per esempio, un povero contadino pensa:»Sono un essere umano, ed il re Ajātasatu anche. Ma, io sono povero e lui è ricco. Come debbo fare per essere facoltoso come lui? «Si sbarazza di tutto ciò che possiede e diventa monaco. Quando incrocia il re, cosa accade? E' il re che gli deve rispetto, perché la sua nobile condotta lo pone al di sopra di tutti, anche degli uomini più importanti della società. Questo è solo uno dei vantaggi innumerevoli della vita presente di un monaco. Un altro vantaggio è di avere tutto il tempo per consacrarsi a samatha, onde raggiungere gli jhāna ed a vipassanā, per realizzare gli stati di sotāpana, sakadāgāmi, anāgāmi e arahant.»
Ascoltando Buddha insegnare, il re ne rimase incantato. E gli dichiarò:
«In passato, visto che ero incosciente, straripante di orgoglio e di avidità, ho ucciso mio padre, che era un essere nobile. Mi sforzerò del mio meglio a non commettere più atti nocivi. Vogliate considerarmi come vostro discepolo laico!»
Quando il re rientrò al suo palazzo, con i suoi uomini, Buddha disse ai monaci:
«Se il re Ajātasatu non avesse ucciso il padre, sarebbe potuto diventare sotāpana oggi stesso. Quando morirà, andrà nel mondo degli inferi, nella sfera situata appena al di sopra di quella dove si trova Devadatta (dunque, leggermente meno dolorosa). Grazie a tutti i kusala che realizzerà per il saṃgha, vi rimarrà solo 60.000 anni. In seguito, rinascerà molte vite come deva ed essere umano, prima di diventare pacceka buddha.»
Da quella notte, il re Ajātasatu sviluppò una venerazione senza pari per Buddha. Ogni suo minimo sforzo veniva consacrato a servire Buddha, il Dhamma ed il saṃgha, che egli sosteneva attivamente, senza mai avvicinarsi ai maestri titthi. Il re Ajātasatu accrebbe anche una venerazione senza limiti, durante gli otto anni che trascorsero, prima che Buddha entrasse in parinibbāna. Tre mesi dopo la dipartita del Beato, lui sostenne l'organizzazione del primo grande concilio, sorto nella preoccupazione di preservare intatto il nobile e prezioso insegnamento di Buddha.
Il re Ajātasatu sarebbe stato il puthujana che avrebbe mostrato più venerazione verso Buddha.
Nota: Un individuo non può divenire ariyā, durante un'esistenza, nella quale commetta un pañcānantariyakaṃ, nella presente vita: 1) uccidere la propria madre, 2) uccidere il proprio padre, 3) uccidere un arahant, 4) ferire un buddha (non è possibile uccidere un Buddha), 5)creare una divisione nel saṃgha.
Origine: Opera francese
Autore: Monaco Dhamma Sāmi
Traduttore: Guido Da Todi
Data: Gennaio 2004
Aggiornamento: 29 settembre 2011