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riassunto della pagina

Buddha proibisce ai suoi discepoli di indulgere alla dimostrazione di poteri psichici. Indica in quale caso impiegarli.

Un giorno, per uno scopo particolare, egli offre una dimostrazione pubblica di qualche suo potere.

la dimostrazione dei poteri psichici

I tre tipi di poteri psichici

Quando Buddha abitava nel magnifico parco di Pavarika, situato presso il villaggio Nalanda, un certo Kevadda gli si accostò. Dopo essersi seduto ad una distanza conveniente, questi si prosternò rispettosamente davanti al Beato, e gli disse qualche parola di cortesia, prima di rivolgersi a lui:

«Oh, nobile Buddha! Nalanda è una città coronata di successo. I suoi abitanti vivono nella prosperità ed hanno fiducia in voi. Per accrescere e sostenere solidamente questa fiducia, sarebbe bene che voi deste qualche dimostrazione di abhiñña (poteri psichici).

— Kevaddha! Io non insegno il Dhamma in questo modo!»

Quando Nalanda sollecitò la sua richiesta una seconda, poi una terza volta, Buddha rispose sempre nell'identica maniera. Infine, spiegò la natura dei tre poteri psichici:

«1) Vi sono i poteri psichici che consistono nel produrre delle creazioni visive, nell'attraversare i muri, nel volare in aria, nel camminare sull'acqua, senza affondare, ecc.»

«2) Vi sono dei poteri psichici, tramite i quali si possono conoscere i pensieri e le vite altrui.»

«3) Vi sono dei poteri psichici, grazie ai quali si possono guidare gli esseri, a seconda delle loro pāramī, tramite l'utilizzo dei mezzi a loro appropriati.»

I due primi tipi di poteri psichici, se vengono impiegati per il piacere, o per impressionare la gente, non differiscono, allora, da una volgare manifestazione di prestidigitazione. I monaci che li praticano in questo senso rappresentano una sorgente di vergogna, di umiliazione e di disgusto per il saṃgha. Se i monaci acquistano l'abitudine di sollecitare la fede delle persone verso il Dhamma, tramite questi mezzi, il giorno in cui non saranno più capaci di manifestare i poteri psichici, il sāsana (l'insegnamento di Buddha) prenderà fine. Tali mezzi sono in grado di impressionare e di convertire delle folle verso la propria dottrina, ma non portano la conoscenza del Dhamma e sono privi della minima possibilità di liberare gli esseri dal saṃsarā (ciclo delle rinascite).

Il terzo tipo dei poteri psichici aiuta gli esseri a liberarsi dalla sofferenza. E' il solo tipo di poteri psichici che sia degno di venire praticato. Quando un monaco vede un individuo prigioniero della passione, roso dall'avidità, utilizza i suoi poteri per insegnargli a liberarsi dalla brama e dal desiderio. Quando vede una persona schiava della collera, divorato dall'avversione, impiega i suoi poteri per aiutarlo a controllare questa collera e questa avversione. Quando un monaco osserva una persona sottoposta all'ignoranza, utilizza i suoi poteri per spingerla a disfarsene, sviluppando la conoscenza della realtà. Ecco i poteri psichici che è sano e costruttivo impiegare.

La proibizione di esibire i poteri psichici

Un giorno, quando Buddha aveva 20 vassa, certi bramini della città di Rājāgaha erano dubbiosi circa la saggezza e la capacità dei monaci. Qualcuno affermava, addirittura, che non vi era un solo arahant nel saṃgha; fatto che ebbe la conseguenza di allarmare molte persone. Un ricco bramino della capitale, era, dal canto suo, persuaso che non vi fosse un solo monaco dotato di poteri psichici. Dopo avere riflettuto su di un sistema che lo potesse provare agli abitanti della città, ebbe un'idea, che mise subito in pratica. Fece collocare una ciotola in legno di sandalo, alla sommità di un palo di sessanta gomiti (circa 30 metri) di altezza e proclamò alla folla:

«Prometto di adottare la dottrina del monaco, che sarà capace di provare che egli è un arahant, mostrando la sua abilità a volare in aria, sino a staccare quella ciotola!»

Nota: Ai tempi di Buddha, gli arahant possedevano sistematicamente dei poteri psichici. Il bramino era, tuttavia, male informato, poiché essi non erano i soli esseri dotati di questi poteri. Effettivamente, anche i puthujana possono svilupparne qualcuno.

Poiché la ciotola di sandalo se ne restava sempre al proprio posto, il ricco bramino giunse ad affermare formalmente l'assenza di arahant nel mondo. Costernati, gli abitanti si ubriacarono di alcool, per tutta la notte. Numerosi furono coloro che non vollero più rispettare i monaci. Temendo che il fatto potesse attentare gravemente alla fede ed alla fiducia delle persone, verso il Dhamma, un monaco, il Venerabile Piṇḍālasāradvāja, realizzò molto facilmente l'impresa voluta dal bramino., E ciò ebbe, come effetto, di immergere l'intera città in un grande tumulto di gioia e di soddisfazione.

Il ricco bramino si recò presso il Venerabile Piṇḍālasāradvāja. Rapito dall'ammirazione, gli chiese di accettarlo come discepolo. Più tardi, andò da Buddha, accompagnato da numerosi amici:

«Oh, nobile Buddha! I vostri monaci hanno dei meravigliosi poteri psichici. Vorrei che ne dessero una dimostrazione ai miei molteplici amici, che sono qui con me. Ho un'enorme ammirazione per il saṃgha, da che ho assistito all'exploit del Venerabile Piṇḍālasāradvāja.»

Quando il bramino ebbe narrato l'episodio della ciotola di sandalo, appesa a sessanta gomiti di altezza, Buddha fece chiamare il Venerabile Piṇḍālasāradvāja ed ordinò che si spezzasse la ciotola di sandalo, per farne un medicamento da unzione. Riunito, poi, il saṃgha, stabilì che, da quel momento, i monaci non dovessero mai più esibire i loro poteri psichici.:

«Non è corretto affascinare la folla, con l'aiuto degli abhiñña. Rifiuto che i monaci facciano conoscere, o espongano i vantaggi del Dhamma, con questi metodi. Autorizza l'impiego degli abhiñña unicamente nel caso di pericolo immediato, o per conoscere a fondo un individuo, allo scopo di meglio aiutarlo con dei consigli utili; mai, però, mostrandogli gli effetti causati dagli abhiñña.

La preparazione dello spettacolo dimostrativo degli abhiñña

Qualche tempo dopo, quando Buddha abitava nel regno di Sāvatthi, nel monastero di Jetavana, felice di potere schernire il saṃgha, un gruppo di titthi progettò di organizzare uno spettacolo dimostrativo di poteri psichici. Per portare a buon fine il loro spettacolo pubblico, questi titthi si dedicarono alla costruzione di un grande riparo, e non mancarono di avvertire, in anticipo, tutta la popolazione del regno. Quando il re Pasenadī Kosala venne a conoscenza della natura dello spettacolo che stava in preparazione, si recò da Buddha, per parlargli dell'avvenimento, prima di proporgli:

«Oh, nobile Buddha! Permettete che costruisca un grande rifugio, perché voi possiate piegare l'orgoglio di questi titthi.

— Non ve ne date la pena!

— Se non me ne incarico io, chi lo farà?

— Il deva Sakka (il re dei deva) lo creerà per me.

— Dove mostrerete i vostri poteri psichici?

— Sotto un mango.

— Che giorno scegliete per la vostra dimostrazione?

— Il giorno di luna piena di luglio.

— In che posto dovranno disporsi tutti coloro che desiderano assistere alla vostra dimostrazione?

— Non vi preoccupate di questo: mi si vedrà, da ogni parte, sulla Terra.»

Terminato questo dialogo con Buddha, il re Pasenadī Kosala si premurò di spedire in fretta dei messaggeri verso tutte le direzioni, onde preavvertire l'intera popolazione del suo regno, sull' dell'avvenimento. Quando i titthi sentirono che Buddha avrebbe effettuato la sua dimostrazione sotto un mango, fecero tagliare tutti gli alberi di mango. La mattina del giorno della luna piena di luglio, non esisteva più un solo mango; non ve ne era neppure un germoglio, al di fuori del giardino del re, ove nessuno avrebbe osato prenderlo. Facendo la sua colletta di cibo in Rājāgaha, il Beato giunse al palazzo del re.

In quella stagione, non esisteva , da tempo, un solo mango. Però, uno ve n'era — né più, né meno che nel giardino del re. Era un frutto magnifico, di taglia generosa, e maturo da consumarsi. Quando Kanda, il guardiano del giardino, lo vide, lo colse, per andare a darlo al re. Tuttavia, appena scorse il Perfetto, con la sua ciotola, ebbe il grande piacere di offriglielo. Avendo raccolto sufficiente cibo, Buddha si sistemò all'esterno, non lontano dal giardino reale, per mangiare. Quando ebbe finito, dette il nocciolo al guardiano:

«Kanda! Piantate questo nocciolo!

— Venerabile Buddha, dove volete che lo pianti?

— Proprio qui!»

Una volta piantato il nocciolo, il guardiano venne a versare dell'acqua sulle mani del Beato, perché se le lavasse. Cadendo al suolo, l'acqua irrorò il nocciolo. A quel punto, grazie ai poteri di Buddha, il nocciolo si aprì ed un superbo albero di manghi crebbe, all'istante. Sbalordito dall'apparizione improvvisa del mango, Kanda corse ad avvertire il re e tutta la gente che incontrò. Poiché l'albero era carico, già, di numerosi frutti, il guardiano li colse, per offrirli al saṃgha. Il re ordinò che un nutrito numero di guardiani si disponesse attorno all'albero, per proteggerlo dai titthi malintenzionati. Le persone che volevano vedere l'albero da vicino, vennero in massa. Tutti coglievano i deliziosi manghi dall'albero, e questi rispuntavano immediatamente, di sorta che l'albero ne era costantemente pieno. Sgradevolmente stupiti nell'apprendere che ancora un albero di mango era in piedi, i titthi tentarono di andarlo a tagliare. Appena giunsero accanto all'albero, la gente, che li detestava, lanciò loro addosso le ossa dei manghi, sulla testa. Impauriti da questa ostilità collettiva, i titthi se ne fuggirono, a larghe falcate, verso il grande riparo che avevano appena terminato per il loro spettacolo dimostrativo dei poteri. Il re deva Sakka diede, allora, origine ad un potente uragano, che distrusse il riparo dei titthi, avendo cura di risparmiare le case, lì attorno. Quindi, scatenò una pioggia da diluvio, malgrado la stagione, che aveva per obiettivo la stessa località. Disperati, tra le macerie del loro riparo, sguazzando nel fango, provocato dalla tempesta, i titthi se ne scapparono da quei luoghi. Il loro capo, sopraffatto dalla disperazione, si attaccò un pesante vaso attorno al collo e si dette alla morte, gettandosi nel fiume. Riprese nascita nel mondo degli inferi. I titthi, di fatto, non possedevano alcun potere psichico. La loro fanfaronata aveva come scopo unicamente quello di esasperare i monaci, a cui Buddha aveva proibito il pubblico impiego dei poteri psichici.

La dimostrazione dei poteri di Buddha

Per ridurre l'orgoglio dei titthi, Buddha dispiegò pienamente i suoi poteri. Fece apparire un viale di pietre preziose, sospeso in aria, e si involò sino ad esso. Quindi, rimase immobile per un istante, galleggiando nel vuoto. Da lì, si immerse nel quarto jhāna. Fece scaturire delle grandi fiamme da alcune parti del suo corpo, come le orecchie, gli occhi, la bocca, o gli stessi pori della pelle; mentre, l'acqua scaturiva anche da altre parti del suo corpo. Creò, quindi, un altro buddha, di modo che non si potesse sapere quale fosse quello vero. Uno stava seduto; l'altro, in piedi. Quando il primo si alzò per camminare, l'altro si distese. Tutti e due si misero, allora, a discutere del Dhamma, ponendosi l'un l'altro delle domande, a cui ognuno rispondeva, come se fossero due esseri totalmente distinti. Tutti li potevano scorgere, in qualunque luogo si trovassero.

Nota: Per manifestare un abhiñña (qualunque esso sia e verso chiunque venga espresso), una persona deve, precedentemente e necessariamente, entrare nei quattro primi jhāna, poiché è solo tramite il quarto di essi che possono svilupparsi. Gli individui più abili sono capaci, in ogni momento, di entrare, in successione, nei quattro jhāna, durante spazio di un secondo, come qualche grande discepolo di Buddha.

Più tardi, quando la dimostrazione terminò, Buddha non ridiscese. Al contrario, se ne salì e sparì nel cielo. Partì direttamente per il regno dei deva, dove si sedette su di una grande pietra piatta, chiamata Paṇḍukamdalā. Sarebbe rimasto lì, in alto, dove avrebbe trascorso i tre mesi del vassa. Non vedendolo più apparire, alcuni si misero a piangere. Lo attendevano in molti, e si fermarono sul posto, con lo sguardo fisso al cielo, là, dove il Beato era sparito. Venne chiesto, allora, al Venerabile Mahā Moggalāna:

«Oh, nobile Venerabile! Buddha, è, forse, partito?

— Non lo chiedete a me! Domandatelo al Venerabile Anuruddhā!»

Il Venerabile Mahā Moggalāna conosceva molto bene la risposta, ma voleva mettere alla prova le capacità del Venerabile Anuruddhā , che fu perfettamente capace di rispondere:

«E' partito per la sfera Tāvatiṃsā del mondo dei deva. Ritornerà da noi per la luna piena, che indica la fine del vassa

Poiché la gente lo volle, comunque, attendere, sin da quel momento, si stabilirono tutti nella città di Sāvatthi; anche coloro la cui residenza si trovava lontana dalla capitale.


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Origine: Opera francese

Autore: Monaco Dhamma Sāmi

Traduttore: Guido Da Todi

Data: Gennaio 2004

Aggiornamento: 29 settembre 2011